In genere le mamme soffrono più dei papà per i figli che decidono di andare a vivere da soli. Il dolore che si prova può essere più o meno grande. Molto dipende dalla solidità della coppia e perfino da come è stato elaborato il lutto di figure famigliari importanti, spiega dottoressa Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista, che offre anche suggerimenti per affrontare il distacco
l figlio va a vivere da solo perché lo ha deciso lui, e per sempre. Si vive un dramma, un tradimento, una sconfitta. O magari, solo un grande senso di tristezza. Non accade sempre, né a tutti, ma prima o poi il distacco avviene e ogni genitore reagisce a modo suo.
"Quella del nido vuoto è una vera e propria sindrome, riconosciuta come forma di disagio psicologico", dice Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista a Roma. "La si prova quando l'allontanamento è volontario e definitivo; non quando il figlio se ne va per una necessità contingente, come frequentare la facoltà che desidera non disponibile dei dintorni, perché in quel caso l'abitazione di riferimento resta quella genitoriale".
Se il distacco pesa, la ragione è da cercarsi nel vissuto
Come mai molte famiglie faticano ad accettare di vedere un ragazzo spiccare il volo?
"I
genitori che lo vivono come un abbandono e una perdita irreparabile hanno
difficoltà ad affrontare la separazione a causa del proprio vissuto del
lutto", spiega la dott.ssa Lucattini. "È proprio così che
percepiscono l'allontanarsi del figlio. Sono le perdite subite nell'infanzia ad
avere lasciato il segno: la più grave è la morte del padre o della madre,
soprattutto se chi rimane in vita non si risposa, cosa che denota, da parte del
congiunto, una difficoltà a elaborare il lutto; anche la morte di un nonno può
essere altrettanto traumatica, se viveva con il nipote o se ne occupava spesso.
Anche le malattie per le quali si è stati ospedalizzati dagli zero ai tre anni di età incidono: il bambino sperimenta la paura di non poter più tornare a casa, una forte angoscia di morte a volte trasferita sui genitori. Una sensazione non cosciente data la precocissima età, più avanti compensata dall'unione con un partner e dalla nascita della prole; quando però il bambino diventato adulto se ne va di casa, riaffiora quel sentimento sotto forma di depressione, anche grave. A queste madri o padri manca la consapevolezza: il figlio che si rende autonomo non è perduto ma verrà recuperato negli anni a venire".
Sindrome del nido vuoto: maligna o benigna
Come si manifesta la sofferenza?
"C'è chi si sente un po' giù, soprattutto i primi tempi, e chi piange inconsolabile pure per anni. La sindrome del nido vuoto può avere forma benigna o maligna. Nel primo caso, il genitore ha parzialmente elaborato i propri traumi, per cui vive il trasferimento del figlio (anche in un appartamento nello stesso condominio) alla stregua di un lutto, ma sa razionalizzarlo, riconoscerlo come un'esagerazione e superarlo, anche parlandone con il coniuge o con uno specialista. Comunque dura poco. Diversa è la forma maligna, quando i traumi del passato sono stati troppo grandi, e il contesto presente è poco accogliente. Magari gli amici dicono frasi incoraggianti come: "Fatti forza", "mostra il carattere", "con la volontà si supera tutto" ma chi soffre sa di avere una reazione eccessiva eppure non riesce a controllarla; se si stimola sul piano razionale si peggiorano solo le cose".
È possibile rintracciare schemi comportamentali tipici e diversi, tra padri e madri?
"In parte sì", spiega Lucattini. "Le donne in genere sono più soggette alla sindrome, perché si occupano maggiormente dei figli. Del resto ci sono cose che possono fare solo loro, dalla gravidanza all'allattamento. In più, c'è un aspetto di cui si parla poco: alle madri è demandata l'educazione sentimentale, quindi dal punto di vista emotivo soffrono di più".
A soffrire di più è chi non ha interessi per colmare il vuoto? Pensiamo a un lavoro, una vita di coppia soddisfacente oppure impegni al di fuori della famiglia.
"Sì, parliamo di uomini e donne che hanno trascurato la propria individualità a favore del ruolo genitoriale, magari rinunciando ad averlo, un lavoro o restando in un matrimonio insoddisfacente o conflittuale. Il figlio svolge allora il ruolo di supporto: il risultato è un bambino adultizzato, chiamato a svolgere un ruolo non suo. Facile capire che, quando se ne va, il genitore crolla".
Cosa accade se oltre alla tristezza, sopraggiunge un senso di tradimento, di rabbia?
"La
rabbia in se stessa non è un sentimento negativo bensì, se ben elaborata e
incanalata, un grande motore per riuscire a stare meglio e uno strumento di
riscatto", spiega l'esperta.
Ben diversa quella persecutoria, che porta a telefonare di continuo o a presentarsi a casa dei figli senza preavviso né invito, ad assumere atteggiamenti ricattatori o persino a scomparire dalla loro vita, non parlando più con loro. Un esempio classico: un genitore ha acquistato per il ragazzo un appartamento al piano di sopra, o comunque molto vicino. Di fronte alla sua decisione di vivere altrove si scatena una furia terribile, gli impedisce di vendere quell'immobile e quindi, di fatto, di acquistarne in un posto più gradito. In questi casi i figli devono sottrarsi, e magari allearsi con l'altro genitore".
Cosa
deve fare chi riconosce in sé i germi della sindrome del nido vuoto?
"L'importante è sapere che la sindrome esiste e, se la si nota in sé stessi, cercare di capire, farsi aiutare. Mai, mai prendersela con i figli: non vanno aggrediti, ma sempre sostenuti nelle scelte".
L'Italia è spesso considerata la patria del "mammismo": a torto o a ragione?
"La
sindrome del nido vuoto si verifica nelle famiglie nucleari, che da noi sono la
maggior parte. Contrariamente a quanto si pensa, però, è presente anche nel
nord e centro Europa, e non è tanto vero che lì i ragazzi sono più indipendenti.
Per come sono organizzati scuola e college, stanno in gruppo tutto il giorno,
quindi sostituiscono al nucleo famiglia un nucleo diverso, una rete di sostegno
alternativa.
In molti
Paesi i ragazzi lasciano presto la famiglia, ma per vivere con amici o in
condomini messi a disposizione dai Comuni. Quindi la sindrome del nido vuoto
non è solo affare nostro, ma sicuramente in ogni Paese ha delle sue
tipicità".
Adelia Lucattini
Come
riconoscere e guarire dalla sindrome del nido vuoto
di Ambra
Radaelli
Pubblicato
su Repubblica.it – Moda e Beauty - Life