Imparare
a parlare con i bambini non è intuitivo, però è semplice conoscendo come funziona
la loro mente in crescita ed evoluzione. I bambini desiderano parlare ma
soprattutto essere ascoltati.
1
- Evitare il “baby-talk”
Evitare di parlare come imitando il parlare stridulo, alto e disarticolato dei bambini piccoli,
questo può andar bene con i neonati, nei momenti di gioco, ma i bambini hanno
bisogno d’imparare a parlare e in modo corretto, inoltre anche di saper
distinguere bene il tono e il senso di quello che viene detto dalla mamma e dal
papà. I fratellini poco più grandi possono anche farlo, senza esagerare,
altrimenti potrebbe prendere una piega poi difficile da correggere: il “piccolino
a vita”.
Molto
meglio usare il nostro normale timbro di voce e pronunciare le parole in modo
corretto. I bambini capiscono fin dal primo giorno di vita e comunicano.
I
bambini nascono già in grado di comunicare, sono “competenti”, tutto sta
imparare a decodificare il loro codice di comunicazione mano mano che crescono
e soprattutto quando ancora non parlano.
Ma
non è poi così difficile, basta osservarli e ascoltare le mille modulazioni dei
suoni che emettono.
Si
dice infatti che la voce dei bambini sia “la voce degli angeli”.
2
– Cambiare linguaggio e modo di parlare a seconda dell’età
Essere
il genitore è bello ma è difficile e richiede conoscenze e pensiero, nonché qualche
sforzo, soprattutto nei momenti di passaggio dei figli.
Trovare
il giusto modo di comunicare e di farsi capire dai figli talvolta può essere arduo,
soprattutto se si è stanchi o in un periodo di stress e tensioni per i
genitori.
3
– Ai bambini
Parlare in modo calmo, abbassandosi e cercando di guardarli sempre negli occhi, abbassandosi se si è vicini, intercettando il loro sguardo da lontano.
Parlare in modo calmo, abbassandosi e cercando di guardarli sempre negli occhi, abbassandosi se si è vicini, intercettando il loro sguardo da lontano.
Anche
i richiami devono essere con voce “ferma” ma mai terrorizzati, i bambini
potrebbero confondersi e non capire se sono in pericolo o se stanno facendo
qualcosa di male.
Inoltre,
anche a quest’età e soprattutto in quella scolare, è importante spiegare loro
il perché delle varie decisioni che si prendono quotidianamente nei loro
confronti; la risposta «perché no» non è educativa per il bambino, il quale non
riesce a capire il «no» dato dall’adulto a una sua richiesta.
Prendersi il giusto tempo per spiegargli perché mamma e papà hanno preso quella decisione, comunicando anche le varie emozioni che sperimentano perché i bimbi imparano a percepire e a dare un nome alle emozioni, grazie all’azione di rispecchiamento che mettono in atto gli adulti.
Prendersi il giusto tempo per spiegargli perché mamma e papà hanno preso quella decisione, comunicando anche le varie emozioni che sperimentano perché i bimbi imparano a percepire e a dare un nome alle emozioni, grazie all’azione di rispecchiamento che mettono in atto gli adulti.
4
– Con i figli preadolescenti (10-12 anni)
Questa
è l’età in cui i figli cominciano a distinguersi in modo più evidente dai genitori,
nei bambini accade ma si nota meno e a cercare d’“imporsi” con la propria
volontà.
A
questa età sono utili metafore e le similitudini, i racconti, gli esempi, per
far comprendere determinati concetti.
E
sempre necessario parlare usando un linguaggio corretto, un timbro di voce
normale e dire la verità, nel modo giusto, in modo che possano comprenderla ed
emotivamente sostenerla. Vanno coinvolti e informati senza essere shockati!
Questa
l’età in cui incominciano a fare delle domande “scomode”, se non lo hanno già
fatto da bambini magari perché sollecitati dagli amichetti.
A
quest’età è normale perché inizia la fase di crescita fisica e sessuale che
porterà a breve lo “scatto puberale”, la maturità sessuale da un punto di vista
corporeo con tutti i turbamenti per i rapidi cambiamenti del corpo a cui la
loro mente deve abituarsi.
Possono
fare domande sul sesso o la vita: in questi casi, è bene prendersi tempo per
parlare, un tempo specifico, un “tempo dedicato”, non rubato tra un boccone e l’altro,
sulla porta o mente si sta scappando a scuola o al lavoro in mezzo al traffico
o incalzati dall’orologio.
a)
Sedersi con loro e rispondere alle varie domande,
b)
Usare metafore solo se utili a far capire il concetto
c)
Non deviare dall’argomento principale
In
un mondo tecnologico come quello in cui viviamo è meglio che siano i genitori o
gli adulti di riferimento a rispondere a queste domande, anche se imbarazzanti,
piuttosto che lasciarli “da soli” a cercare informazioni su internet o
attraverso il sentito dire degli amici.
5-
Con gli adolescenti
Ascoltare è la chiave della comunicazione e la partecipazione.
Ascoltare è la chiave della comunicazione e la partecipazione.
Esistono
delle “frasi passe-partout” a cui segue il “fare insieme”.
Per
insegnare regole e doveri la chiave non è impartire ordini senza spiegazioni, “perché
lo dico io” ma ad esempio “Vieni che ti faccio vedere come si fa” e fare
insieme cose che diamo per scontato che i figli sappiano fare solo perché le
hanno viste fare.
Non
è così.
Fare
preparare lo zaino, mettere gli abiti sporchi nel cesto, apparecchiare, sparecchiare,
poi fare la lavastoviglie, sistemare la libreria o la camera segue delle “procedure”,
ha degli automatismi che i bambini ma anche gli adolescenti non hanno.
Insegnare
a prendersi cura della propria persona e delle proprie cose, come ci si
comporta a tavola o in pubblico è come imparare a giocare a calcio, bisogna
conoscere le regole e poi insieme al mister giocare, allenarsi, fare le partite,
prima due volte a settimana, poi tre, poi il fine settimana, poi dopo il 15-16
anni tutti i giorni.
5
– Ogni posto è paese
Wendy Mogel nella sua rubrica sul New York Times, sul come comunicare con i bambini e
rapportarsi a loro in modo costruttivo afferma che è inutile cercare di “imporre”
un dialogo, soprattutto da parte dei genitori, ma invece questo vale per tutti
gli adulti che hanno a che fare con i bambini e con gli adolescenti.
“Piuttosto,
bisogna cercare di sfruttare i numerosi canali che i bambini ci offrono, ma che
noi adulti spesso siamo restii a vedere: per esempio, quando ci spiegano
qualcosa che li appassiona nel dettaglio, di cui magari a noi importa poco, ma
che sarebbe bene stare ad ascoltare con l’atteggiamento di chi ignora:
«Mamma,
lo sai che lo squalo più grande al mondo è quello bianco? E non è vero che è un
assassino, muoiono più uomini per colpa del morso di un cane che di uno squalo»
«Davvero?
Non lo sapevo!».
Oppure,
è bene stare ad ascoltarli, quando cominciano a parlarci in modo spontaneo: di
solito, questo accade quando sediamo fianco a fianco, è più semplice per loro
comunicare in questo modo, rispetto al guardarsi fissi negli occhi, gli
adolescenti sono spesso imbarazzati quanto i genitori e più timidi, non
desiderano essere “scoperti” a meno che lo desiderino loro".
Non
bisogna dimenticare che esiste la credenza che “gli occhi siano lo specchio
dell’anima”, se non guardano come quando erano bambini, è perché temono di
essere scrutati e che qualcuno anche i genitori possano scoprire chissà quali “imperfezioni”
(così vengono percepiti i cambiamenti) ed essere giudicati.
I
figli desiderano solo essere amati, capiti, guidati con fermezza, saggezza e si
aspettano di essere rimproverati se trasgrediscono, sta nel gioco delle parti.
Un
adulto autorevole e stimabile agli occhi di un bambino come di un adolescente è
chi sa chiedere, insegnare e far rispettare le regole che devono essere dichiarate,
esplicite, costruttive.
L’adulto
se ne fa custode e garante, in quanto custode protegge, in quanto garante
insegna e se necessario rimprovera, spiegando perché e insistendo.
Crescere è un lavoro “artigianale” che s’impara “a bottega”, alla "bottega" di mamma e
papà, in famiglia e poi anche a scuola e con lo sport.
Adelia
Lucattini
"Qual
è il modo corretto per comunicare con i bambini?"
Di
Francesca Favotto – Vanity Fair – Lifestyle
di
Wendy Mogel – New York Times
"Should We Speak to Little Boys as We Do Little Dogs?"
"Should We Speak to Little Boys as We Do Little Dogs?"
Fonte Foto
The blue Room