Nel lavoro quotidiano del neuropsichiatra infantile, le domande dei genitori, relative allo sviluppo neuropsicologico di un bambino, sono tra le più frequenti: ‘Dott.ssa …. il mio bimbo ha diciotto mesi… non cammina ancora…è normale? Certo però pure il padre, dice mia suocera, ha camminato tardi, forse è familiare…. ’, ‘Dott.ssa….ha due anni e dice solo qualche parola….devo preoccuparmi?… A che età i bambini dovrebbero parlare?’.
Sono solo
alcuni esempi di quesiti, rivolti allo specialista dell’età evolutiva
(neuropsichiatra infantile, psicanalista infantile) che tradiscono, da un lato,
la preoccupazione circa il regolare andamento della sviluppo; dall’altro, il
tentativo di spiegarsi eventuali differenze o discrepanze osservate, rispetto
ad un modello di crescita.
In
questo contesto è facile comprendere come sia fondamentale restituire ai
genitori una spiegazione corretta e condivisa: perché le parole dello
specialista dell’età evolutiva devono fornire le corrette indicazioni per
ridimensionare e supportare le preoccupazioni rappresentate dai genitori e,
contemporaneamente, individuare e proporre gli strumenti e le scelte operative adeguate
per sostenere lo sviluppo del bambino.
COSA SI INTENDE PER SVILUPPO NEUROPSICOLOGICO
Per
sviluppo neuropsicologico si intende l’insieme dei cambiamenti che si
verificano nelle capacità ed abilità dell’individuo col procedere dell’età e
che aumentano le dimensioni, la diversità o la complessità dell’organizzazione
di una persona o delle sue caratteristiche. Anche se lo sviluppo, così
globalmente inteso, riguarda l’intero ciclo della vita, dalla nascita alla
senescenza, i cambiamenti che intervengono nei periodi dell’infanzia, della
fanciullezza e dell’adolescenza vengono considerati delle ‘pietre
miliari’, nel senso che le acquisizioni, le abilità e le competenze raggiunte
in questi periodi della vita sono fondamentali per il modo in cui un individuo
potrà articolare e gestire la propria vita da adulto.
Lo
sviluppo di un individuo va immaginato come i gradini di una scalinata: si inizia dal primo gradino per
proseguire verso tutti gli altri, su alcuni possiamo sostare un po’ di più, su
altri un po’ di meno, a tratti si può accelerare, in altri rallentare o
apparentemente tornare in dietro. I gradini sono le fasi dello sviluppo, intese come passaggi o step del processo maturativo neuropsicologico.
Il
termine neuropsicologico racchiude
tutte le dimensioni dello sviluppo psicologico di un bambino: motoria, negli aspetti posturali,
cinetici, prassici; comunicativa,
negli aspetti extraverbali, come i gesti, la mimica del viso e del corpo e negli aspetti verbali, in termini di parole,
frasi, racconti, sia espressi sia effettivamente compresi; affettiva ed emotiva, sia negli aspetti relazionali familiari e di
gruppo sia negli aspetti temperamentali individuali; ludica e simbolica, cioè i giochi che un bimbo fa e la modalità con
cui utilizza il gioco per condividere e creare, la capacità di utilizzare la
fantasia.
Il
processo maturativo delle dimensioni dello sviluppo è in
parte sequenziale, nel senso che ci sono abilità acquisite prima di altre (ad esempio prima si acquisisce il
controllo del capo, poi si acquisisce la capacità di stare seduti; prima si
utilizzano i gesti, poi compaiono le parole) e la cui acquisizione è preliminare alla comparsa di altre abilità (ad
esempio, il camminare presuppone la capacità di stare in piedi; la costruzione
di una frase semplice presuppone la presenza di un repertorio di verbi oltre
che di sostantivi).
Il passaggio da una fase all’altra avviene ad una
certa età cronologica e quella fase si estende, in tutti i bambini, per un
certo periodo di tempo.
D’altra
parte, le dimensioni dello sviluppo non
procedono tutte alla stessa velocità: in altri termini, le singole fasi di
sviluppo di un bambino non necessariamente sono omogenee in tutte le modalità
di funzionamento psicologico e non per tutti i bambini.
Ad esempio, un bambino a
2 anni di età cammina da solo, corre, tira una palla, si arrampica sulle sedie,
possiede diverse paroline e si fa capire in tutti i modi; mentre un altro
bambino della stessa età cronologica, fa le stesse cose a livello motorio, ma
con minore enfasi, e comunica prevalentemente con i gesti. In entrambi i casi, le
competenze motorie risultano sovrapponibili ed adeguate all’attesa per età
cronologica, pur con delle differenze individuali; a livello comunicativo, pur
presentando entrambi una comunicazione efficace, tuttavia nel primo caso sono presenti
le parole, come ci si aspetta per l’età cronologica, nel secondo solo i gesti.
Nel primo caso aspetti motori e comunicativi risultano procedere in maniera
omogenea e adeguata all’attesa per età cronologica, nel secondo la dimensione comunicativa
procede in maniera corretta negli usi e nella funzione ma in ritardo rispetto
alla comparsa delle parole.
Tutto ciò è spiegabile perché lo sviluppo
neuropsicologico è la risultante della complessa
interazione tra fattori maturativi
di tipo biologico, determinanti
genetiche, variabili temperamentali
e ruolo dell’ambiente: l’ambiente
inteso sia come ambiente esterno, cioè l’insieme delle esperienze percettive,
sensoriali, manipolative, affettive, sociali che un bambino vive nel proprio
contesto di vita e nella propria famiglia sia come ambiente interno, cioè la
dimensione intrapsichica che tutte queste esperienze portano con sé.
Lo sviluppo così definito e le relative fasi non si
configurano come semplice maturazione nelle acquisizioni, ma come percorso di sviluppo fortemente
individualizzato. All’interno di questo percorso è importante quindi comprendere quando le eventuali differenze rilevate
o osservate vadano interpretate come significative
rispetto a quanto ci si aspetta (deviazione dalla norma) e quando,
invece, sono normali scarti temporali nello
sviluppo di differenti funzioni.
I PRIMI PASSI: NEL CAMMINARE E NEL PARLARE
Da quanto detto sopra, è chiaro che esistono differenze individuali nella progressione
dello sviluppo, intese sia come differenze tra individui, nelle stesse competenze
ed abilità acquisite (differenze
interindividuali) sia come differenze tra aspetti dello sviluppo in uno
stesso individuo (differenze
intraindividuali).
A livello motorio, la prima tappa che il lattante
acquisisce, tra il primo e terzo mese, è il sostenere la testa; dai 4 ai 9 mesi
impara a stare seduto, dapprima, verso i 4-5 mesi sta seduto con un minimo di
appoggio e tendendo ad assumere una posizione ricurva in avanti, a 6 mesi
mantiene la posizione seduta abbastanza a lungo con la schiena dritta, a 9 mesi
riesce a stare seduto da solo senza necessità di sostegno. Fino ai primi 6 mesi
di vita, il bambino non è capace di spostarsi in modo autonomo: dopo iniziano i
primi spostamenti, strisciando a pancia in giù aiutandosi con braccia e gambe,
poi imparando a camminare carponi o strisciando col sedere.
Il camminare inizia
verso i 9-10 mesi, col bambino che inizia a compiere qualche passo sostenuto
sotto le ascelle oppure appoggiandosi a sostegni, verso i 12 mesi è capace di
camminare se lo si tiene per mano e, infine, verso i 13-14 mesi cammina da
solo.
La definizione della sequenza temporale di acquisizione di queste abilità
tiene conto del riferimento ai tempi attesi nella maggior parte dei bambini.
D’altra
ogni bambino ha il proprio ritmo di sviluppo e acquisisce le diverse abilità
secondo i tempi ed i modi che meglio si adattano al suo stile di movimento: ci
sono bambini rapidi nell’imparare a stare in piedi, anche prima dei 10 mesi, ed
altri che ci arrivano con calma, dopo i 12 mesi; bambini che si sperimentano
subito nel camminare, altri che eseguono i primi passi con molta prudenza e
addirittura timore.
Può anche capitare che si salti una determinata tappa
motoria, ad esempio ci sono bambini che imparano a camminare e non hanno mai
gattonato. La presenza di una notevole variabilità dipende da diversi fattori:
neurologici, ad esempio bambini con ipotonia globale e lassità
legamentosa,
in assenza di problematiche neurologiche conclamate, possono
camminare più tardi; fisiologici, cioè l’accrescimento staturo-ponderale,
scheletrico, articolare e muscolare; ambientali, legati alle opportunità
che un bambino ha di agire nello spazio e di sperimentarsi nel movimento.
Per la
dimensione comunicativa: i primi
suoni che un neonato e un lattante producono sono sbadigli, ruttini o compaiono
legati al pianto, che riveste una funzione di regolazione; tra i 2 e i 6 mesi
compaiono dei suoni vocalici, che nel tempo acquistano le sembianze di una sorta
di conversazione tra lattante e genitore; verso i 6-7 mesi, i suoni diventano
delle vere e proprie sequenze consonante-vocale, tipo dadada, lalala (lallazione canonica), verso i 10-12
mesi la maggior parte dei bimbi produce sequenze sillabiche, tipo dadu, bada (lallazione variata) e compaiono i primi
suoni simili a parole o proto-parole tipo papa mama. In questo ultimo periodo,
tra i 9 ed i 12 mesi, i bimbi cominciano ad utilizzare i gesti come indicare,
mostrare, dare: i gesti hanno una valenza comunicativa, si riferiscono ad un
oggetto o evento esterno definito e sono adeguati all’intento (gesti deittici).
Tra gli 11 e i 12 mesi
compare una diversa tipologia di gesti che non solo esprimono un desiderio di
comunicare ma il loro significato cambia in base al contesto: sono ad esempio i
gesti convenzionali del ciao con la mano, del no col capo (gesti referenziali).
Nello stesso periodo compaiono le prime parole che accompagnano i gesti
in azioni e situazioni specifiche. Ad un anno la modalità comunicativa
prevalente è gestuale, intorno all’anno e mezzo il numero dei gesti e delle
parole è circa lo stesso, dopo questa età l’uso dei gesti diminuisce e il
numero delle parole continua a crescere. Anche in questo caso, ci sono bambini
che permangono nella fase comunicativa legata ai gesti più a lungo e la
utilizzano in maniera efficace ed articolata anche fino ai 18-24 mesi, altri
che dopo la comparsa delle prime parole intorno all’anno mantengono le due
modalità comunicative in parallelo oltre i 12 mesi.
QUANDO PREOCCUPARSI
È
evidente come sia nella dimensione motoria che comunicativa le abilità richiedono del tempo per
emergere, definirsi e consolidarsi: non avviene tutto in un mese o pochi
giorni ma in una finestra temporale di alcuni mesi. Rispetto a questa finestra
temporale e alla luce della storia personale di un bambino vanno valutate
eventuali differenze o ritardi nelle fasi di sviluppo.
È
importante considerare la storia
personale di un bimbo: eventuali problematiche insorte durante la
gravidanza o subito dopo rappresentano fattori di rischio per ritardi nelle
acquisizioni dello sviluppo, inizialmente motorio e poi anche delle altre aree.
La familiarità per ritardi e/o
difficoltà di linguaggio costituisce ulteriore fattore di rischio per
l’insorgenza di ritardi nello sviluppo comunicativo.
I tempi di comparsa di alcune competenze
risultano predittivi di eventuali ritardi successivi: a livello motorio, un
ritardo nell’acquisizione della capacità di stare seduto e a livello
linguistico povertà nel repertorio dei gesti o ritardo nella comparsa dei gesti
sono predittivi di ritardo nelle acquisizioni dello sviluppo neuropsicologico.
La
presenza di fattori di rischio, personali e/o familiari, in presenza di una
competenza che tarda ad emergere suggeriscono l’opportunità di effettuare una consulenza specialistica di tipo
neuropsichiatrico infantile.
Ecco
quindi che alla domanda iniziale ‘dott.ssa
…. il mio bimbo ha diciotto mesi… non cammina ancora…è normale?’ Risponderemo
in maniera differenziata a seconda che il bimbo abbia o meno fattori di rischio
e se il camminare più tardi è l’unica abilità che compare in ritardo (ritardo
motorio semplice) o se anche altre dimensioni dello sviluppo stentano a
comparire (ritardo psicomotorio). E la domanda ‘…ha due anni e dice solo
qualche parola….devo preoccuparmi?… A che età i bambini dovrebbero parlare?’:
è certamente un campanello di allarme, che acquista una valenza diversa se il
bimbo ha un ricco repertorio comunicativo gestuale e mimico, la comprensione
comunicativa è adeguata come anche le restanti aree dello sviluppo (ritardo
specifico) o se più aree dello sviluppo sono coinvolte (ritardo globale)
Il clinico osserverà e valuterà, con strumenti
propri per l’età del bambino (esame obiettivo generale e neurologico, osservazione
libera, scale di sviluppo standardizzate) se ed in che misura una o di più
abilità non sono presenti o lo sono in maniera atipica o ridotta. In presenza
di semplici scarti
temporali nella comparsa e sviluppo
di singole funzioni, si suggeriranno visite neuropsichiatriche
infantili di controllo per monitorare lo sviluppo ed incontri per fornire ai
genitori suggerimenti su come aiutare il bimbo; negli altri casi (scarti
temporali significativi, atipie e/o ritardi in più dimensioni dello sviluppo)
lo specialista neuropsichiatra infantile, in un lavoro di equipe con gli altri
specialisti dell’età evolutiva (psicanalista infantile, terapisti dell’età
evolutiva, pediatri) suggerirà approfondimenti ulteriori, un trattamento per il
bimbo sulle competenze da avviare, sostenere o consolidare, colloqui di supporto e suggerimenti operativi
ai genitori su come aiutare il bimbo.
A cura di Anna Maria Angelilli