UN AUTISMO O TANTI AUTISMI?
I
bambini che soffrono di una "sindrome dello spettro autistico", che
include patologie e disturbi anche piuttosto diversi tra loro, da quelle di
tipo genetico al funzionamento autistico da stress respiratorio perinatale,
fino alla sofferenza cerebrale di varia natura, affrontano la vita immersi in
una sensazione di sofferenza e dolore psichico, ma con una differenza fondamentale
rispetto a noi: queste persone infatti non sanno cosa sia esattamente quel
disagio, non riescono a riconoscerlo e dargli un nome, anche qualora siano in
grado di parlare o dispongano di un "alto funzionamento" a livello
cognitivo.
I NUMERI IN ITALIA
Quanto è vero, dunque, che chi soffre di autismo, sindrome che
riguarda circa 100 mila bambini e adolescenti italiani (un bambino su 100, con
una frequenza 4 volte più alta fra i maschi) - vive in un mondo tutto proprio,
senza percepire davvero la solitudine?
LA SOLITUDINE
Rispetto al soffrire di solitudine così come lo
intendiamo noi qui siamo in presenza di una sensazione diversa.
Questi ragazzi possono provare propriamente un sentimento di solitudine soltanto dopo essere entrati in
una relazione umana significativa con qualcun altro, altrimenti si innesca solo
un meccanismo in cui le fantasie e le fantasticherie suppliscono alla presenza
di un'altra persona, tanto da non permettere di sentirne la mancanza.
Va
sfatato il luogo comune dell'autistico incapsulato nel proprio mondo: si tratta
di una visione "pseudo-schizoide" non vera.
Gli autistici hanno una
grossa difficoltà nella comunicazione, ma non sono isolati.
Vivono in un mondo
stereotipato e ripetitivo perché questo li consola e li rilassa. Inoltre spesso
hanno una ipersensibilità sensoriale, una suscettibilità a suoni, rumori,
sensazioni tattili, per cui tendono a proteggersi attraverso l'isolamento.
Non
perché gli piaccia stare da soli.
LA PAURA DELL'ABBANDONO
Il timore
dell'abbandono riguarda l'istinto di sopravvivenza e dunque la possibilità
di andare avanti anche senza la presenza di qualcun altro.
Certo che anche chi è affetto da autismo soffre per l'abbandono e reagisce anche violentemente
a volte, accentuando l'isolamento, con comportamenti oppositivi o
aggressivi.
Ma la sensazione in questione non sempre viene percepita come tale
se non viene fatto un percorso di psicoterapia analitica: solo allora le
persone che soffrono di autismo sapranno che quello che succede è proprio un
dolore da abbandono.
Una prova "indiretta" di questo meccanismo
può derivare dal fatto che, per quanto possono dimostrarlo in modo del tutto
personale, particolare e che necessiti anche di una decodifica e di
un'interpretazione, solitamente le persone autistiche sono tranquille e
talvolta mostrano felicità nello stare con i propri familiari.
Stringono
buoni rapporti e stanno volentieri con le figure di riferimento con cui fanno
la riabilitazione o con lo psicoterapeuta che li segue.
La felicità di stare
con qualcuno trova nella paura, nell'angoscia o nella sofferenza dell'abbandono
il suo "reverso" .
IL PROBLEMA DEI GENITORI PER IL "DOPO DI NOI"
La legge italiana prevede
programmi e cure per chi soffre di autismo ma solo fino al compimento del
diciottesimo anno di età, e non contempla il caso di persone autistiche
maggiorenni.
Un problema, il “dopo di noi”, che angoscia le famiglie: cosa
accadrà ai figli dopo la morte dei genitori?
Molte associazioni propongono la
costituzione di case famiglia e di comunità alloggio capaci di garantire una
buona qualità della vita dopo la scomparsa di padre e madre.
Questo tipo
di preoccupazione nei genitori segue tappe piuttosto
precise.
La prima, grande, è quella del compimento della maggiore età, che
diventa un discrimine tra la possibilità di un recupero e di una vita
"normale", secondo quelli che sono i canoni comuni, intesi come
scolarizzazione efficace, lavoro, possibilità farsi una famiglia.
Un altro
momento cruciale in cui il problema si pone in modo importante si ha quando uno
dei due genitori si ammala.
Un'altra tappa nota, probabilmente per la situazione
esistenziale del genitore stesso, la si incontra quando il padre o la madre si
avvicina o supera i 70 anni.
L'IMPORTANZA DI "FARE RETE"
Come arginare, dunque, queste preoccupazioni?
Sicuramente dal punto di vista organizzativo, attraverso una rete che
metta in relazione tra loro associazioni di familiari e pazienti e strutture
del Sistema Sanitario Nazionale.
Dal punto di vista psicologico, invece, è
sempre importante che anche i genitori possono ricevere un sostegno personale.
Avere un figlio con disabilità o malato è sempre un
dolore grandissimo che può essere sopportato per molti anni con la speranza di
un miglioramento e grazie alla forza che i familiari hanno in gioventù.
Col
passare degli anni e con il diminuire delle energie sia psicologiche che
fisiche possono subentrare però dinamiche depressive importanti.
IL SOSTEGNO PSICOLOGICO
A prescindere da questo tipo di evoluzione, un supporto
alla genitorialità in un primo momento e una psicoterapia personale quando ne
viene percepita la necessità è sempre indicato.
Una psicoterapia analitica che
permetta di lavorare non soltanto sulle emozioni e sul loro funzionamento ma
anche sull'elaborazione del lutto o sulla convinzione di aver perduto "un
figlio sano" è necessaria.
Nei genitori non
sempre c'è una consapevolezza profonda, anche inconscia, e una convinzione che
il figlio sia in qualche modo disabile.
Accade anche con i familiari di figli
che hanno malattie fisiche o disturbi minori, come quelli Specifici
dell'Apprendimento o depressivi, e ancora di più per i genitori che hanno figli
con "sindromi dello spettro autistico.
Anche i figli vanno preparati
alla possibile perdita dei genitori, e il fatto che possono non avere reazioni
apparenti o congrue con l'avvenimento non significa che non se ne
accorgano.
Il fatto che gli autistici non riescano a esprimere
quello che sentono perché non hanno gli strumenti per poterlo fare o perché non
sanno definirlo, non significa nulla.
È sempre importante parlare con i ragazzi
con disabilità di quello che accade ai genitori, senza anticipare quello che
accadrà, ma comunicando apertamente, con delicatezza e garbo, affrontando la
realtà per quello che è.
Il fatto stesso di sentire parlare da qualcuno di
quello che accade è un elemento tranquillizzante.
Dipenderà poi dal grado di
maturità o dalla severità della patologia avere delle reazioni di un certo tipo
o di un altro.
Ma da un punto di vista sia psicologico che umano è sempre
essenziale intavolare un discorso comprensibile per i figli portatori di
disabilità, in modo da poterli aiutare a transitare attraverso gli avvenimenti
nel modo meno doloroso e traumatico possibile.
I FARMACI
Non è escluso che in molti
casi sia necessario anche l'utilizzo di farmaci e questo
vale sia per genitori che per i figli.
Le indicazione in questi casi sono
sempre e comunque quelle che lo specialista prescriverà, e se li riterrà
necessari.
Adelia Lucattini
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Adelia Lucattini
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l'articolo originale della giornalista e scrittrice Sara Ficocelli:
“Autismo
e solitudine, l'esperta: "Incapsulati nel loro mondo? Luogo comune"
pubblicato su Repubblica.it – Diritti Umani
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