Negli ultimi anni, con una frequenza senza dubbio superiore rispetto al passato, si sente parlare di bambini e adolescenti con problemi di apprendimento, spesso riferiti in associazione a difficoltà di attenzione. Molti genitori ed insegnanti riferiscono di avere dei grossi problemi anche nella gestione comportamentale dei propri figli ed alunni.
‘…Sembra
non sia minimamente interessato alla scuola..’ o ‘…non è mai attento tranne che per le cose che lo interessano…’ o ‘…è che è svogliato, pigro…’ sono le
espressioni spesso utilizzate, in prima battuta, da genitori o insegnanti per
descrivere l’atteggiamento a scuola di un bambino o adolescente. ‘…Quando si tratta di iniziare a
studiare…ogni scusa è buona…’, o ‘…nei
compiti è frettoloso ed impulsivo… per questo fa tanti errori…’, ‘A casa …devo stargli seduto vicino
altrimenti non fa niente’: sono
le frequenti espressioni riportate dal genitore nel descrivere cosa succede il
pomeriggio rispetto ai compiti.
Le frasi riportate sopra,
puramente a scopo esemplificativo, testimoniano come a volte possano essere
formulate delle interpretazioni sul comportamento manifestato da un figlio o un
alunno rispetto ai compiti e alle consegne scolastiche, senza lasciare spazio
ad ipotesi e spiegazioni ulteriori.
I campanelli di allarme
rispetto a difficoltà di apprendimento possono essere sia di tipo diretto, cioè
immediatamente riconducibili a specifiche difficoltà nell’acquisizione delle
abilità di lettura, scritture e/o calcolo, sia di tipo indiretto, cioè essere
una manifestazione collaterale o secondaria alle difficoltà scolastiche, come
ad esempio problemi di attenzione, oppositorietà, insicurezza.
Ad esempio,
spesso i bambini con difficoltà scolastiche possono avere, come manifestazione
collaterale o secondaria, difficoltà nel mantenere l’attenzione su specifiche
richieste connesse alle difficoltà di base e quella che apparentemente e
globalmente viene considerata o letta come disattenzione, disinteresse o
svogliatezza, è, al contrario, espressione della fatica e quindi stancabilità
rispetto alla consegna didattica.
Oppure possono sembrare oppositivi,
impulsivi, a volte poco inclini a rispettare le regole: avere, quindi, un
repertorio di manifestazioni comportamentali apparentemente e globalmente
considerate o lette solo come inopportune e non come espressione di un disagio
e sofferenza affidati all’agito anziché alla parola. Immaginiamo cosa posso
succedere a scuola: a cascata, un po' come un gatto che si morde la coda, il
bambino può venir rimproverato perché distratto, può rifiutarsi di fare i
compiti, può cominciare a pensare di non essere bravo quanto i compagni.
E a
casa? Beh, è immaginabile che lo spazio del pomeriggio da dedicare allo studio
rappresenti tutt’altro che una situazione tranquilla ed agevole, né per i figli
né per i genitori: richiami continui da parte dei genitori sullo stare fermo al
tavolo a studiare si possono alternare al continuo rimandare il momento
‘fatidico’ per iniziare i compiti o alla pluriframmentazione del pomeriggio tra
cartoni, merenda ed uso del telefonino…. In un pomeriggio in cui ‘i compiti, se tutto va bene, si finiscono
per ora di cena…già poi bisogna anche preparare la cena …..’
Può essere utile in tal
senso tenere a mente che in età
evolutiva gli aspetti cognitivi, emozionali e comportamentali sono strettamente
e vicendevolmente interconnessi: quindi, una difficoltà in una dimensione
coinvolge anche le altre.
È importante cercare di osservare il bambino nei vari contesti
di vita senza formulare interpretazioni: l’osservazione dei quaderni di scuola
e di casa, il comportamento declinato nelle varie situazioni e contesti fornisce
elementi preziosi per orientarsi. Risulta quindi fondamentale un raccordo costante e continuo tra famiglia e
scuola per condividere informazioni e quindi le scelte.
La scuola deve
mettere da subito in atto tutte le opportune strategie di rinforzo, recupero e
potenziamento attraverso una didattica flessibile, personalizzata ed inclusiva,
con modalità che risultano efficaci non solo per gli alunni con difficoltà, ma
per tutta la classe.
Un approccio multimodale permette l’articolazione tra tipologie di
interventi (didattico, psicologico, psicoeducativo), più figure professionali
(neuropsichiatra infantile, psicoanalista infantile, terapisti, pedagogisti,
insegnanti) e più livelli (alunno, famiglia, scuola, rete sociale).
Cosa
può
essere utile a casa nella gestione dei compiti: osservare cosa fa il bambino rispetto ai
compiti (si alza di continuo, non sta mai fermo, fa tutt’altro); ripensare alle azioni che i genitori mettono in atto rispetto a
questo comportamento e alle proprie
reazioni (ad esempio, ci si arrabbia oppure si promette una ricompensa a
compiti finiti o si passa tutto il pomeriggio seduti vicino al figlio) per
valutare se e quali risultano efficaci nell’affrontare lo studio e quali addirittura
controproducenti; pensare al luogo ove vengono svolti i compiti, perché
deve trattarsi di uno spazio dedicato che predispone alla concentrazione; pianificare la successione dei compiti,
ad esempio iniziando con le attività impegnative ma che il bambino può svolgere
in autonomia e relativa supervisione, per poi passare ai compiti in cui necessita
di maggiore supporto per concludere con attività più leggere.
Pianificare lo
spazio consente di creare un contesto prevedibile e quindi più rassicurante;
pianificare le attività consente di imparare ad organizzarsi in funzione del
tempo e degli obiettivi.
Ma basilare e
preliminare è far saper al proprio figliolo che ‘…abbiamo capito che non lo fa apposta..’: riconoscere che ci possono
essere delle difficoltà è il primo passo per conoscerle, trovare le opportune
strategie, valorizzare le qualità individuali.
A cura di Anna Maria Angelilli
Neuropsichiatra Infantile
Neuropsichiatra Infantile